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"Il libro di Mario Famularo esacerba, in un certo senso, l'immaginario della società borghese moraviana dello svuotamento dei valori e dell'alienazione assoluta, per intrecciarvi il problema del superamento di una propria impasse esistenziale in quanto uomo moderno; la sofferenza, l'ansia dell'io davanti alla morte, il nulla e il tempo, che percepisce unicamente come annientamento del sé. A questo consegue che la suddetta, per un occidentale viene a configurarsi come oblio perpetuo, la fine del sé, una morte definitiva: quello che Otto Lehto chiama zero. Questo è il problema fondamentale rilevato dalla scuola di Kyoto, ovvero il dualismo essere-non essere, vissuto come un conflitto che proietta l'io in una dimensione sofferente e senza via d'uscita, dove la morte viene interpretata dall'uomo moderno come un assoluto. La crisi che Famularo acuisce inizialmente è quella di un uomo che non può risolvere il sentimento della perdita nella salvezza divina, e si ritrova abbandonato all'ansia esistenziale." (dalla Pref. di Luca Cenacchi)